Camminare in sé è l’atto volontario più vicino ai ritmi involontari del corpo: il respiro e il battito del cuore (…). È uno stato in cui la mente, il corpo e il mondo sono allineati come tre personaggi che finiscono per dialogare tra loro, tre note che improvvisamente formano un accordo.
(R. Solnit, Storia del camminare)
La mia professione mi vede sempre in movimento, non solo perché porto a spasso la danza e il linguaggio del corpo ma anche perché essa prevede frequenti spostamenti da un luogo all’altro. Da qualche anno ho deciso di prediligere scuole e spazi raggiungibili a piedi, organizzando tempi di spostamento che prevedono passeggiate rigeneranti, con l’intento di iniziare ogni volta l’attività con la mente sgombra e il corpo leggero. Con la pratica, il semplice muoversi da un punto A a un punto B acquisisce un nuovo sapore.
Camminare è un movimento complesso che automatizziamo da soli, in un’età in cui il movimento non viene analizzato né pensato o spiegato ma scoperto attraverso l’esperienza e la curiosità di raggiungere qualcosa. Coinvolge tutto il corpo in un’incredibile collaborazione di parti chiamate a dare il loro contributo.
La struttura del corpo umano è concepita per il movimento. In piedi viviamo una situazione di equilibrio instabile che governa tutto il comportamento meccanico del corpo. Il baricentro alto permette di muoversi in ogni direzione con un ridottissimo dispendio di energia, perché nella deambulazione il corpo oscilla in un arco in modo che l’energia potenziale acquisita nel moto ascendente è pressoché uguale all’energia cinetica generata in quello discendente.
Moshe Feldenkrais, padre di uno dei metodi a mio parere più affascinanti del Novecento nell’ambito delle discipline somatiche, definisce deambulazione corretta proprio quel movimento che permette al baricentro di salire e scendere così poco da essere mantenuto al livello a cui si trova quando siamo in appoggio sul piede avanti e il piede dietro tocca ancora il suolo con le dita maggiori. In questa situazione ideale non si compie alcun lavoro a livello gravitazionale.
Per non fare la fine del millepiedi nella famosa storiella che di fronte a una richiesta di spiegazione su come fa a coordinare le sue innumerevoli zampine non riesce più a muoversi, mettiamoci ora in cammino, limitandoci a portare l’attenzione sull’ascolto dell’appoggio dei piedi a terra, un passo alla volta. Focalizzare l’attenzione sull’azione del camminare è semplice, fa scivolare via i pensieri e si presenta come una perfetta metafora della vita e della quotidiana ricerca di equilibrio.
Doris Humphrey, danzatrice e coreografa della prima metà del Novecento, descrive il camminare come un ritmo alternato di caduta e recupero che dà un senso di presenza. Da qui elabora la sua tecnica di danza, proprio dal camminare, perché il movimento spinto da motivazione si rivela come un’esperienza di danza. “Una gioia inconscia in beat mentre il peso si sposta” la definisce. Come il respiro, anche l’atto di camminare ha molteplici risorse ritmiche.
Nel training teatrale e in generale nelle tecniche espressive corporee si comincia camminando nella stanza. Un piede dopo l’altro si porta la propria presenza nello spazio, per esplorarlo e delimitare i propri confini in relazione agli altri.
Camminare, scrive Andrée Bella, può essere un atto filosofico, inteso come “una qualità di presenza che ci permette di scorgere e sentire, in un’azione particolare e determinata, semplice o addirittura banale, la presenza del tutto, la potenza del significato e di ciò che di universale e grande si mostra nel particolare, nel delimitato e nel piccolo.” Un passo dopo l’altro lasciamoci sorprendere da ciò che ci circonda, focalizzandoci per esempio su un tema: la bellezza (cosa mi piace di quello che vedo?); i colori; cose buffe che mi fanno sorridere; gli animali che incontro; gli alberi e le piante; i fiori sui balconi e i davanzali; suoni e rumori; puzze e profumi. Proviamo ogni giorno a portare l’attenzione su uno di questi temi, è un gioco che invita alla presenza, che possiamo fare da soli ma anche in compagnia di un bambino.
Passi e respiro si accordano tra loro e così facendo, attraverso il corpo, pratichiamo la presenza mentale, per esempio contando quanti passi dura l’inspirazione e quanti passi dura l’espirazione. Oppure utilizziamo un mantra da ripetere mentalmente che si accordi con pazienza al ritmo del nostro camminare. Per esempio, alla mattina presto mi piace ripetere fai ciò che puoi meglio che puoi e accogli ciò che accade con pazienza. Ci vuole tempo perché le parole incontrino il ritmo dei passi, poi tutto diventa più facile e a questo punto posso scegliere di godere del significato o del suono dei vocaboli, come vuoti contenitori sonori.
Camminiamo, così, un passo dopo l’altro, ecco la nostra presenza sulla Terra.
Passi lenti, veloci, intervallati da pause di diversa durata, con la fatica della salita o il brivido della discesa. Passi pesanti, impronte sulla sabbia e di suole bagnate, rumori di foglie secche, pozzanghere, grate e tombini. Passi morbidi sull’erba del prato, che sprofondano nella ghiaia o rimbalzano sui gradini di una scalinata.
Quando i nostri passi si fanno presenza non abbiamo bisogno di conoscere a che punto siamo del cammino, non abbiamo bisogno di sapere dove siamo diretti.
Riferimenti bibliografici:
Bella A., Socrate in giardino, Salani, 2018
Feldenkrais M., Il corpo e il comportamento maturo, Astrolabio, 1996
Hanh T.N., Essere pace, Ubaldini, 1989
Humphrey D., L’arte della coreografia, Gremese, 2001
Solnit R., Storia del camminare, Mondadori, 2002
Stodelle E., La tecnica di danza di Doris Humphrey, Piretti, 2012
A un certo punto della mia vita, ero già un camminatore, ho imparato che potevo anche correre per molti chilometri senza stancarmi. Improvvisamente ho provato euforia: posso fare come un cane, o un cavallo, usare il mio corpo per spostarmi, senza mezzi meccanici, anche di corsa: il corpo è il mezzo di locomozione più sofisticato per l’anima.