Nutrire l’energia vitale: danzaterapia in una residenza per anziani

Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. 

(J. Saramago, Viaggio in Portogallo)


Questa settimana ho ricominciato gli incontri di DanzaMovimentoTerapia presso una residenza per anziani con la quale collaboro da circa otto anni. Per entrare devo attraversare un giardino che in primavera profuma di glicine e rose, e in autunno si riempie di foglie cadute che scricchiolano sotto i miei passi. Posizionano gli utenti a ferro di cavallo su due o più file, per lo più sono in sedia a rotelle. Il loro numero cambia di volta in volta, anche se i presenti ci tengono a mantenere il loro posto, come avviene nelle lezioni di danza.

Gli incontri si svolgono in un salone piuttosto trafficato ma grazie alla musica e al movimento, riesco a creare una sorta di bolla che posso definire setting. Ultimamente ho notato una maggiore sensibilità da parte di parenti e personale medico. Incuriositi, si fermano a osservare e riconoscono gli effetti benefici dell’attività sugli ospiti della struttura.

La dmt mi ha insegnato a definire 4 fasi all’interno della sessione: l’incontro, il contatto, la trasformazione e il distacco. È ciò che avviene ogni volta che un essere umano ne incontra un altro o si rivolge a un gruppo di persone.

INCONTRO. All’ingresso, respiro il senso dell’attesa di chi ha dovuto imparare ad aspettare attraverso la perdita della cognizione del tempo. Un appuntamento, per chi trascorre i suoi giorni in attesa, è un porto sicuro, un momento di quiete, un approdo nell’isola della presenza. L’incontro avviene attraverso la mia voce, non tutti sono presenti al mio arrivo (e non mi riferisco solo alla presenza fisica) e alcuni sono posizionati di spalle. Gli anziani vengono portati giù dalle stanze alla spicciolata, giusto il tempo per incontrare sguardi, scambiare sorrisi e sistemare la cassa e il materiale. Passo a salutarli a uno a uno, porgendo le mani affinché io possa accogliere le loro, o appoggiando il palmo su una parte del loro corpo con discrezione: il dorso di una mano; il braccio; la coperta che copre le ginocchia. “I corpi delle persone anziane mancano di carezze – scriveva circa a metà degli anni Settanta l’autrice di una piccola guida di yoga per la terza età – Il contatto è finalizzato quasi sempre a uno scopo che limita la portata del gesto”. Nell’incontro il contatto fisico non ha alcun obiettivo se non quello di far sentire che ci sono, sono presente, qui e ora. Qualcuno mi ricorda che ho sempre le mani fredde, qualcun altro racconta i suoi acciacchi ma non si dilunga perché ha fretta di iniziare. Spesso so già chi dirà cosa perché l’incontro è un rituale di cui l’anziano fa tesoro, mi nutrono di complimenti e faccio il pieno di gratitudine.

CONTATTO. Quando inizia la musica entro in contatto con l’intero gruppo, la melodia si propaga nell’aria e dove non arriva l’udito arriva la vista del mio corpo, che si muove mettendo a tacere le parole. La prima parte dell’incontro si ripete sempre nello stesso modo, come un warm up di danza, per permettere anche alle persone di età più avanzata, di continuare a memorizzare e apprendere. La ripetizione delle proposte, come ho avuto modo di notare, favorisce l’aumento della partecipazione del gruppo e introduce con maggiore fiducia la fase creativa che segue.

Questa sorta di riscaldamento prevede un risveglio corporeo attraverso il rispecchiamento (movimenti delle articolazioni, attivazione dei muscoli), una piccola sequenza di gesti da memorizzare e diverse proposte ritmiche. Tenere il tempo di una pulsazione o di un ritmo con le mani per una persona anziana significa mostrarsi presente e attivo. In questo caso, il gruppo è una forza trainante che coinvolge anche chi ha maggiori difficoltà a partecipare. Ad alcuni di loro affido a volte piccoli strumenti, guidandoli nel rispetto della musica.

Infine utilizzo un brano swing per invitare naturalmente alla danza o anche solo a tenere il tempo. Il muoversi del corpo è congiunto al muoversi della mente. Quando il corpo inizia a muoversi, in qualche modo mobilita la sua memoria antica, connessa ad esperienze legate al movimento. In questa fase, nella quale mi sposto tra gli utenti per danzare in coppia con ognuno di loro, rimango in ascolto di chi accoglie le mie mani passivamente per lasciarsi guidare e chi invece mi conduce nella sua danza personale, con più o meno vigore.

TRASFORMAZIONE. Iniziando a danzare entriamo nel vivo dell’incontro, nella fase che intende risvegliare la sorpresa e la capacità personale di reagire a uno stimolo. Per facilitare il movimento creativo nel rispetto delle proprie possibilità, la dmt prevede l’utilizzo di materiali che variano ogni volta.

Avere un oggetto tra le mani risveglia la sensibilità tattile o gesti racchiusi nella memoria corporea, stimola ricordi, immagini e crea connessioni. A volte, come a scuola con i bambini, propongo un viaggio, creando un filo conduttore verbale tra i brani musicali. La musica è un ponte che sa toccare lo scrigno delle emozioni e creare immagini. Ogni brano è una porta che scelgo con cura per guidare le mie intenzioni. Di tanto in tanto inserisco una canzone nota – un canto popolare, di musica leggera o un’aria d’opera – per risvegliare parole sommerse dal tempo e invitare spontaneamente le voci a unirsi in un coro. È un’abitudine appresa dall’esperienza svolta con una collega in gruppi di malati di Alzheimer.

Questa fase ogni volta è una sorpresa anche per me. La presenza è un risveglio vitale in grado di modificare la postura del momento, come piante avvizzite che finalmente ricevono dell’acqua. La creatività ha a che fare con il lasciare andare e può anche accadere che proprio la demenza senile disinibisca il processo creativo. Accolgo ciò che accade senza forzare e senza giudizio, prendendo nota di piccoli cambiamenti e gesti inaspettati.

DISTACCO. Gli anziani riconoscono il momento di salutarci dalla musica, sempre lo stesso brano un po’ malinconico. Lentamente ritiro il materiale, invitando ciascuno a riporlo in un contenitore al mio passaggio. Qualcuno con occhi umidi gli dà un bacio prima di consegnare, qualcun altro sente la necessità di dirmi qualcosa. Anche la chiusura è un rituale che concludo con una musica allegra legata alla mia esperienza con i bambini e che accompagno con il tamburello. Al termine un giro di saluti, di nuovo a uno a uno, occhi negli occhi e mani nelle mani. Mi chiedono quando sarà il prossimo incontro. “Se tu vieni non si sa quando – dice la volpe al Piccolo Principe – io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. Un rito è quello che fa un giorno diverso da un altro giorno”.

La dmt non ha uno scopo evasivo, anzi, invita le persone alla presenza, a incontrare la possibilità di continuare a muoversi, crescere, fare esperienza per scoprire sempre qualcosa di nuovo. Io stessa esco da ogni incontro diversa, attraversata da emozioni che elaboro nel silenzio del viaggio di rientro a casa. D’inverno mi capita di incrociare un tramonto e, proprio come il Piccolo Principe, mi fermo a guardare.          

(Foto d’archivio di Felice Boschi)


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